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La Grande Bellezza dell’Atletica Sarda: Anastassia Angioi

La cronaca atletica dei mesi iniziali del 2011 fu caratterizzata dall’astro di Anastassia Angioi che divenne Vice-Campionessa Mondiale Under 18 nel salto in lungo. Ero presente il 17 aprile al Campo Coni di Cagliari quando Assia scatenò l’applauso del pubblico con il suo 6.29 (a lato Assia in azione quel giorno): l’emozione, la gioia, erano palpabili. Quel 2011 proseguì con l’Argento ai Campionati Italiani Assoluti con prima misura pari all’Oro: si dovette andare alla seconda miglior misura, fatto non frequente, e Assia fu seconda.

Per chiudere dunque l’approfondimento di queste settimane sui salti (con le interviste a Elias Sagheddu, Massimo Marcias, Eugenio Meloni e Roberto Dessì) ecco la ciliegina dell’intervista ad Assia. Tuttora la “scheda” che ho scritto su Assia è l’articolo più letto di questo sito con circa 2.000 visualizzazioni.

Campionessa nella vita di tutti i giorni, ben più che in pedana (il che è tutto dire per chi è stata seconda nel Mondo), Assia è ragazza di grande educazione, spiccata intelligenza, imbarazzante umiltà e disarmante per una sensibilità più che rara. Timida quasi al mutismo (è utile essere odontoiatri con attrezzatura al seguito per farla parlare), Assia nasconde in un corpicino esile e aggraziato un ribollire di idee, valori e sentimenti che la rendono una ragazza fuori dal comune: Albert Einstein direbbe “tre cose sono infinite: l’Universo, la stupidità umana e la timidezza di Assia”. Ribollire che trova sfogo, come un fiume in piena liberato dalle cataratte, quando prende in mano carta e penna (o più prosaicamente una tastiera), facendo concorrenza al sintetico Marcel Proust di “À la recherche du temps perdu”. Il tutto ornato da una socratica consapevolezza dell’inadeguata conoscenza dell’essere umano, temperata al tentativo di una valutazione complessiva dei fatti della vita molto simile alla spinoziana analisi sub specie aeternitatis: non male per una ragazza meno che ventenne.

Vi lascio con grande piacere alle sue parole.

Attesa della folata giusta, rincorsa della lunghezza provata in allenamento, stacco al limite dell’asse di battuta, volo cercando di atterrare il più lontano possibile, chiusura senza sprecare centimetri: come è possibile rendere naturale un gesto come quello di saltare?
Dunque… Non nascondo che la prima volta che ho letto questa domanda mi sia scappato un sorriso. 
Non potendo essere esauriente nella pratica sulle fasi da te descritte (perché, posso capire il discorso della folata che… ci sta, cercare di atterrare il più lontano possibile anche… ma il resto…), cercherò di immaginare la perfezione nell’immaginazione, nella semplicità.
E, forse, la risposta alla domanda l’ho già trovata. Semplicità. Nel mio caso specifico saltare risulta la continuazione più naturale dell’azione della corsa. Riprodurre in aria ciò che è sulla terra, almeno per me, almeno per ciò che vorrei che fosse per me.
Una semplicità particolare, certo, congetturata, ma pur sempre semplicità. È il risultato di un attento studio, proiettato all’utilizzo di ogni centimetro del corpo in modo equilibrato. È la miglior elaborazione del naturale modo di saltare, insito, in realtà, in qualsiasi essere umano. 
Ognuno ha il proprio modo di correre, di staccare, di volare, di chiudere, e, infine, di saltare. Il salto, forse, è un po’ come un vestito cucito sull’atleta. Deve essere proprio, personale: ognuno ha il suo, progettato in base alle proprie peculiari caratteristiche. È un’alchimia particolare tra velocità, tecnica, leggerezza e anche forza.
Non esiste una regola, una specifica formula uguale per tutti. Cambia, a seconda di tante variabili, di come si è. Ognuno trova la sua semplicità.
Alla fine, però, tutti hanno lo stesso obiettivo: essere capaci di restare più tempo possibile lì, dentro quell’istante, a contemplare il cielo.

Hai gareggiato con la maglia del Cus Sassari in Sardegna, sei andata a giocarti il titolo Assoluto ai Campionati Italiani, hai vestito la maglia della Sardegna in rappresentativa diventando Campionessa Italiana, hai vestito la maglia della Nazionale diventando Vice Campionessa Mondiale. Cosa cambia dal gareggiare in una pedana che conosci, davanti ai tuoi amici, al gareggiare in uno stadio con decine di migliaia di spettatori? Hai trovato “più pesante” indossare la maglia della Nazionale o della Sardegna rispetto a quella della tua società?
… E ho vestito, sebbene sinora per una sola volta, con immenso orgoglio anche il Verde Forestale.
Che elenco! Sembra quasi credibile.
Come una scritta su una maglietta possa metterci in crisi! Eh si, perchè indossando quel particolare materiale, quel profumo, quelle lettere, è come se si tenesse in mano un mondo intero. Un privilegio, una gioia bellissima. Ebbene, è così: indossare i colori azzurri è un’emozione indescrivibile, la responsabilità è tanta, la voglia di fare bene e non deludere è ancor maggiore. Competere all’estero ha certo tutto un altro sapore, ha un’altra magia, una grande energia.
Diversa, ma non maggiore o migliore rispetto a quella in casa.
Portare alto il valore di un nome, la passione e il sacrificio di tanti che si fanno in quattro per te, senza chiedere niente in cambio è un grande, grandissimo onore. Nome, qualsiasi esso sia. Gareggiare per la Nazionale è gareggiare per la tua Terra e dunque porti al suo interno la forza della tua società, il tuo piccolo, grande, mondo.
Indossare i colori della Sardegna, il profumo della propria Terra, ha una portata affettiva che forse a parole non è possibile esprimere.
Credo che ogni gara abbia la sua profonda magia. Che avvenga in un piccolo stadio della Sardegna, che si compia in una finale Mondiale è sempre una responsabilità, una competizione, un’esperienza.
A livello di titolo, di spettatori, o “portata”, non si trovano sullo stesso piano, questo è sicuro, ma ogni gara è speciale di per sè, ha i suoi riti, le sue paure. Ogni caso è differente, ma non vi è una diversità legata all’importanza del binomio gara-atleta.
Si dà il massimo sempre e comunque, a casa come all’estero.
Gran parte dell’atmosfera è data dalla città, dallo stadio, dal pubblico (che dà tantissima energia e intimorisce al tempo stesso). E’ data dalla pista, dal viaggio che si è fatto per raggiungere la meta. Ogni piccola cosa ha il suo ruolo decisivo, ha grande influenza chi si ha intorno, ma credo che più di ogni altra cosa giochi un ruolo fondamentale la predisposizione personale. Quella interiore, della propria psiche. Bisognerebbe estraniarsi dal mondo circostante, non trovando più differenza tra una pista conosciuta e una sconosciuta, una maglia o un avversario. Senza dare importanza a chi ci circonda o a chi è assente.
Solo lavoro su sé stessi e pura concentrazione.
Io, però, che ho ancora così tanto da lavorare a livello emotivo, questo equilibrio proprio non lo possiedo, restando eccessivamente provata a casa come ad un Mondiale.
Con qualsiasi maglietta, in qualsiasi stadio.
Come una sfida, un po’eccessiva, con sé stessi, ovunque.
Dicono si impari crescendo, ma io la vedo dura.
Vedremo come andrà.

Cosa hai provato quando hai saputo di essere entrata nel Gruppo Sportivo della Forestale?
Una strana, bella, mai provata prima, felicità.
Un grande orgoglio e una grande responsabilità.
Ma anche grande imbarazzo e timore.
Io non ci avrei mai pensato, non era tra i miei pensieri e gli obiettivi più tangibili, nel senso stretto del “non mi riguarda”. Perché, non so, non credevo fosse possibile, non credevo ne fossi capace, non credevo ne fossi all’altezza.
Il reclutamento è stato sempre un sogno.
Un sogno irraggiungibile, un qualcosa che giaceva nel mio immaginario, un sogno a cui potevano attingere solo i campioni veri, quelli che ho visto sempre gareggiare in televisione, gli altri, gli atleti bravi, quelli che ammiro, gli atleti grandi. Seri. Non io di certo.
Un sogno perchè non avevo idea che qualcuno fosse interessato a me, che un Corpo Militare potesse volere proprio me. Non nascondo che infatti tutt’oggi molti ancora cercano di farmelo capire. 
Una gioia immensa.
E li ringrazio, con l’affetto e la gratitudine più grande. Sembra scontato e retorico, ma quando qualcuno rende la tua passione un sogno reale, addirittura il tuo lavoro, quando qualcuno ti dà qualsiasi opportunità e mezzo per crescere al meglio, come sportivo e come persona mettendoti a disposizione qualsiasi cosa (i migliori fisioterapisti, i migliori medici, la loro competenza, gli impianti, i sorrisi e la loro umanità), il minimo che si possa fare è dire “grazie”. Sono stata accolta come la piccola del gruppo, in fondo sono la più giovane che sia mai stata presa, come la piccola di una famiglia. Vedo le atlete del Gruppo con così tanta ammirazione che spesso mi chiedo che ci faccio, io, lì, se ne sarò, tuttora, mai all’altezza.

Anni fa eri una ginnasta: perché hai optato per l’Atletica? Cosa ti dava in più della Ginnastica? La Ginnastica può essere una buona propedeutica per altri sport?
Già, proprio così, anni fa lo ero… O almeno ci provavo. E che nostalgia tutt’ora! Profonda nostalgia per uno sport che purtroppo in Sardegna non permette validi sbocchi per il futuro. Un vero peccato, un po’ una rabbia, una grande indignazione. Continuare ad essere in balia di strutture inesistenti, di indifferenza e di una grande dose di scarsa considerazione da parte di chi dovrebbe e non fa niente per cambiare le cose.
A volte la vita ci porta a prendere altre strade.
Mi allenavo tutti i giorni, amavo andare in palestra, iniziai quando nemmeno avevo 7 anni. Son cresciuta con Lei, Lei che ha dato il testimone all’Atletica.
Nel periodo della scelta, ricordo di aver iniziato a frequentare il Conservatorio, il tempo era diminuito radicalmente, in palestra iniziavo a farmi male troppo frequentemente.
Le caratteristiche fisiche, pur essendo piccola, non combaciavano più al meglio come in passato. Fino a quel momento però riuscivo a conciliare le due cose: ero solita andare in campo, non mi allenavo, facevo esclusivamente le gare.
Ma a lungo andare in una giornata sola non si poteva più far coesistere l’Atletica e la Ginnastica insieme nel migliore dei modi.
Le energie e le ore quotidiane purtroppo dovevano essere divise. E dovevo fare delle scelte. La Ginnastica è stata una grandissima preparatrice, morale e fisica. Coordinazione, forza, agilità. Concentrazione, forza di volontà, elasticità, reattività e scioltezza.
È stata Lei a darmi tutto ciò. Le basi e le qualità che senza di Lei non avrei mai avuto.
Decisamente completa per la crescita. È un po’ triste dire che come propedeutica per altri sport è perfetta, ma questo accade solo perchè in Sardegna questo Sport è di seconda classe, ma sì, completa, sotto ogni punto di vista, lo è davvero.
Poi però, come ho accennato, non è stato più possibile seguire questa strada a pieno. E così questo percorso, dopo 5 anni intensi, è sfumato.
Ma la porto sempre nel cuore con tanto orgoglio.
E ne approfitto per ringraziare profondamente Lucia D’Ottavio e Kyka e Luca, loro, che dal primo giorno mi hanno tenuto per mano e dato la forza per seguire i miei sogni nel giorno in cui ho messo piede nel mondo dello Sport.
L’Atletica, però, devo ricordare che ha un ruolo particolare nella mia famiglia, è stata da sempre stato il filo conduttore tra le generazioni. Non è stato necessario imporla o pensare di iniziare un’attività sportiva, è stato tutto naturale come parte della vita stessa. Come bere, andare a scuola. Correre. Saltare. Come un aspetto di te che porti dentro che aspetta solo di venir fuori.
Di tanto in tanto mi si vede comunque sull’erba degli stadi a testa in giù, tra capriole e ruote. Nei miei allenamenti la Ginnastica è sempre presente, come il primo amore, che non si scorda mai.

Anastassia Angioi-200

Pensi che in Italia esista una Cultura dello Sport? O tutto è lasciato alle iniziative dei singoli?
In Italia, credo, personalmente, non esista in generale un’educazione allo Sport. E le iniziative dei singoli possono essere forti e tenaci, ma, se isolati, non si progredisce. E via via, visti i risultati, quando anche i singoli iniziano a demordere, la discesa verso una non-cultura si fa sempre più ripida. 
L’arte dell’attività fisica non è mai stata incentivata come in altri Paesi e non è mai stata vista dai più come un alleato di crescita per i bambini sin dalle scuole dell’infanzia. Sport è educazione. Eppure da noi non è così, tantomeno per l’Atletica. Correre, saltare, sporcarsi, farsi male, giocare all’aria aperta, stare in compagnia, non fa quasi più parte del vocabolario dei bambini, ancor prima dei loro genitori e dei loro insegnanti. Tra le mura scolastiche si sente ancora dire che lo Sport è una perdita di tempo, che non permette agli studenti di studiare, che ruba tempo prezioso… E più si va avanti con gli anni e più si peggiora: non si capisce che è esattamente il contrario.
Sarebbe così naturale se si educassero i giovani sin da piccoli a non restare ore davanti ai computer imbevuti di social networks. Non servirebbe molto, solo un pizzico di buona volontà.
Solo voglia. Voglia di mettersi in gioco, di superarsi. Di provare.
Il discorso sarebbe moto vasto, implicando le diverse parti sociali. In un millennio in cui i bambini viaggiano con il cellulare dai 3 anni, alla luce virtuale di una casa buia, non so quanto spazio possa rimanere per uno Sport.
Ma le cose si possono cambiare! Tassello dopo tassello, insieme, con la forza di ciascuno.
Sarebbe opportuno creare una Cultura dello Sport, sin dai primi anni di formazione dei bambini. È tutta educazione.
Ai bambini, in fondo, piacerebbe più che stare davanti al computer, del resto è quello che si è sempre fatto dacché esiste l’Uomo: i Greci lo compresero bene con il loro Ginnasio. Miglior gestione dei pochi fondi, ascoltando tutti, cercando la soluzione migliore. È proprio in questi tempi duri che aiuterebbe tutti noi a crescere, ad essere più disciplinati, ed essere consapevoli, a superare le difficoltà, ed apprezzare di più ciò che si ha a disposizione.

In quest’ultimo anno il salto in lungo sardo ha visto brillare tante stelle come Antonmarco Musso nel lungo (Nazionale Under 23), Salvatore Orlando (6.78 e miglior prestazione nazionale cadetti), Andrea Pianti (Campione Italiano Allievi e partecipante agli Assoluti Italiani), Elias Sagheddu (Argento ai Campionati Italiani Juniores, Nazionale Under 20, finalista agli Assoluti Italiani). Che effetto ti fa vedere tuoi conterranei volare in queste importanti rassegne nazionali e internazionali?
L’effetto è che vorrei tanto poterli applaudire dal vivo e fare loro il tifo necessario in carne ed ossa, per una volta!
Insomma, bisogna farsi forza a vincenda, insieme, per portare avanti questa vera e propria generazione di canguri sardi. E andarne fieri.
L’emozione è stata fortissima, leggere di queste misure, vedere che ognuno di loro sta lottando nel miglior modo possibile per il proprio grande sogno, ecco, riempie il cuore. Specialmente quando sai quanto lavoro c’è dietro, e quanto ogni atleta desideri farsi valere in pedana, in pista e nella vita.
Una grande emozione, mista, ad essere sincera, a sprazzi di nostalgia per non poter essere stata lì o non poter essere tra di loro. Spero davvero che possano continuare, pian piano, a crescere in serenità per agguantare senza paura tutti gli obiettivi che vorrebbero raggiungere, perchè sono in grado, stando bene, con gioia e passione, di far grandi conquiste.

I tuoi tanti sostenitori si chiedono come stai e quando ti potranno vedere di nuovo in pista: che notizie ci puoi dare?
Innanzitutto un grande, grandissimo, “grazie”, per l’affetto così forte. Purtroppo, sin dalla scorsa stagione, numerosi problemi fisici e di salute, decisamente poco piacevoli (ma fortunatamente in via di guarigione), mi hanno tenuto ferma per tanto tempo e solo ora posso pensare piano piano a una ripresa. Con tanta pazienza, gradino dopo gradino si riacquisterà la forma, sperando che le cose possano procedere al meglio. Ricominciare a correre, saltare, gareggiare, ritornare a vivere amici che non vedo da mesi e mesi.
Un mondo che mi manca decisamente tanto! Che possa essere finito questo dannato periodo! Con un bel po’di rabbia e insofferenza dico: ma insomma, non si può sempre star male!
Un abbraccio forte a tutti… E, grazie: ci vediamo presto!

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